In casa siamo forti lettori, e Ivan e Andrea lo sono anche loro perché casa è piena di libri e ci vedono sempre con un libro in mano. Ci sono libri in bagno, ci sono libri in macchina. Hanno imparato a rapportarsi col mondo anche attraverso questa modalità, la lettura. L’oggetto-libro è per loro uno strumento di conoscenza e di svago come altri, e come tale lo usano. Per questo non mi interessa molto parlare di didattica con gli e le insegnanti di Ivan e Andrea. Portano voti e giudizi buoni, più o meno sopra la sufficienza, e tanto mi basta. Hanno preferenze per alcune materie, difficoltà in altre, come tutti, gli piace studiare, e fine lì.
Quello che mi interessa è il rapporto con i compagni e il rispetto verso chi insegna. Tanto che avverto anche un vago senso di colpa quando soffrono per aspetti del loro carattere che erano anche i miei: e mi trovo così a dare quelle raccomandazioni che detestavo ricevere. Credo tra l’altro che loro due si accorgano benissimo che non sono sincero fino in fondo, quando gli dico di seguire anche quella spiegazioni che non gli interessano o di ignorare quel compagno o quella compagna che li prendono in giro.
Su tutto conta la loro serenità, la loro voglia di andare a scuola – non quella di studiare, e non sono la stessa cosa. Se non sono contenti le cose non vanno bene, ed è una situazione molto più seria dell’eventualità che non studino. Il loro piacere nello stare nel gruppo e nell’ascoltare le lezioni non è registrato dai voti se non in maniera molto marginale, ma è ciò che gli serve per esssere lì e imparare. E tutta la mia attenzione è verso il modo in cui interagiscono col gruppo e nel gruppo.
Perché in questo aspetto della loro formazione, per quanti libri tu possa aver letto e possa aver fatto leggere come genitore, sei implicato come persona. Qui si vede quanto l’esempio che hai dato della tua socialità, e del tuo modo di intendere “gli altri”, ha funzionato o no. Ed è il momento in cui non sai se i tuoi condizionamenti e la tua educazione sono stati la cosa migliore che avresti potuto fare, e che ancora stai facendo.
Per esempio quando insisti sul non essere violenti, e quindi tuo figlio, il più “buono” del gruppo, è quello più maltrattato, perché non reagisce. Per esempio quando insisti sul non bestemmiare perché anche se non si è religiosi non è giusto offendere la fede altrui, e tuo figlio va in crisi quando uno stupido gioco di parole gli fa pronunciare una bestemmia. Per esempio quando insisti sul rispetto del corpo altrui, e tuo figlio è immerso in un flusso di commenti più o meno pesanti sui corpi di chi gli sta intorno.
Lì le spiegazioni devono essere convincenti, perché non c’è in gioco la comprensione di una materia o l’importanza di una disciplina, ma il modo per sopportare le stupidaggini e tollerare i prepotenti senza farsi troppo del male e senza escludersi. Riuscendo a mantenere la propria identità senza sentirsi peggiori degli altri. Un grosso lavoro per il quale non riceveranno mai nessun voto, nessun giudizio, nessuna pagella.